BeccoGiallo è una giovane casa editrice nata a Treviso nell’aprile del 2005. I soci fondatori Guido Ostanel, Federico Zaghis e Max Rizzotto hanno scelto di chiamare così la loro creatura in omaggio al settimanale satirico degli anni Venti Il becco giallo. La rivista, fondata a Roma nel 1924 dal giornalista Alberto Giannini, ebbe vita breve (subì varie censure e fu costretta a chiudere nel 1926 per poi emigrare in Francia) ma si distinse come uno dei più agguerriti fogli satirici antifascisti. Sul primo numero de Il becco giallo si leggeva: “[…] appoggiamo […] con tutte le nostre energie l’opposizione la quale, al regime fascista di dittatoriale violenza che ha invertito tutti i valori morali e col terrorismo ha asservito l’Italia ad una banda di predoni, resiste eroicamente sfidando ogni giorno le più brutali aggressioni e lotta per la libertà soppressa, per la millenaria giustizia italiana conculcata, per la riconquista delle guarentigie costituzionali, per ridare prestigio all’Italia nel mondo“. Se queste parole non vi hanno strappato almeno un sospiro, se non vi hanno fatto drizzare le antenne, se non vi hanno turbati nemmeno un pochino, allora l’unica spiegazione è che viviate sulla Luna. E’ stato scritto che Il becco giallo esercitava la sua libertà non come diritto riconosciuto ma come sfida al regime.
La casa editrice di Ostanel, Zaghis, Rizzotto e tutti gli autori e sceneggiatori che lavorano al progetto va anch’essa controcorrente per ripescare, approfondire, raccontare attraverso il linguaggio del fumetto e sottrarre all’oblìo grandi fatti di cronaca italiana ed estera. Nel nostro Belpaese dalla memoria corta, in cui, secondo statistiche Istat, più si diventa grandi e meno si legge; in cui vivono venti milioni di non-lettori; in cui il fumetto è un prodotto di nicchia, in questo Stivale stropicciato e pieno di toppe, essere cantastorie a fumetti sembra essere un’impresa titanica. Anche perché il lavoro di BeccoGiallo è onesto, preciso, analitico. Ben lontano da certa televisione qualunquista o da articoli di giornale indecentemente ruffiani. I casi raccontati pagina dopo pagina da BeccoGiallo coniugano l’inchiesta giornalistica, la profondità del romanzo e la bellezza del fumetto impegnato, senza tralasciare nessun dettaglio utile alla narrazione. Sul sito dell’editore BeccoGiallo troverete, oltre ai tre cataloghi di cronaca, anche la sezione Quartieri e quella delle biografie (recente l’uscita di “Ballata per Fabrizio De André” del bravissimo Sergio Algozzino). Per scoprire tutto quel che ho omesso vi rimando al sito web.
Ora invece vi presento il direttore editoriale di BeccoGiallo, Guido Ostanel, che mi ha gentilmente concesso questa intervista.
Questi non sono tempi buoni per l’editoria, né tantomeno per chi voglia raccontare quel che accade in Italia e nel mondo. Come mai avete deciso di cimentarvi in un campo così “impegnativo”?
In un certo senso lo abbiamo fatto proprio per questo. Per cercare di dare il nostro piccolo contributo per cambiare una situazione che non ci piace. Noi pensiamo che sia importante sapere chi ha ucciso Ilaria Alpi o Pier Paolo Pasolini. Pensiamo sia importante per il nostro futuro. È una questione di civiltà.
Un lavoro sotto certi aspetti delicato come il vostro presuppone anche un punto di vista condiviso da da tutti i componenti della casa editrice. E’ così?
I punti di vista sulle singole questioni possono anche essere diversi fra di loro. Possono avere, soprattutto, sfumature specifiche e personali. L’importante è che alla base ci sia sempre un atteggiamento condiviso nei confronti di tutti gli argomenti che si scelgono di trattare. Un atteggiamento umile, curioso e soprattutto intellettualmente onesto. Un atteggiamento “civile”, se vogliamo dire così.
A cosa è dovuta la scelta del fumetto come forma di narrazione?
Dall’idea che il fumetto sia un vero e proprio linguaggio, non un sottogenere di qualcos’altro di non meglio definito. Dunque dall’idea che come tale, il linguaggio del fumetto possa confrontarsi potenzialmente con tutti gli argomenti, proprio come il cinema o la televisione. Che possa intrattenere ma anche informare o peggio disinformare. La storia del mezzo è lì a dimostrarlo: pensiamo ai fumetti di propaganda distribuiti nelle trincee per convincere i soldati a continuare a combattere. Insomma, noi siamo convinti che il fumetto sia un mezzo di comunicazione come tutti gli altri, e che come tutti gli altri possa essere utilizzato bene oppure male, in modo onesto o disonesto. Noi cerchiamo di farlo per divulgare fatti e persone che a nostro avviso non meritano di essere dimenticate, che andrebbero approfondite, studiate, condivise.
Ci racconta una delle vostre riunioni redazionali?
Non è facile. Di fatto, siamo praticamente sempre “in riunione”. Dalla colazione, che coincide con le prime notizie radio e tv, alla lettura mattutina dei giornali in redazione, al web che accompagna costantemente il nostro lavoro, ai momenti di svago. C’è uno scambio continuo di informazioni, idee, suggestioni. Per questo abbiamo quasi del tutto eliminato le riunioni di redazione più classiche, destinate oramai alla scelta dello sceneggiatore o del disegnatore e a poche altre decisioni più burocratiche.
“Rubate” il mestiere ai giornalisti perché credete non lo facciano abbastanza e abbastanza bene o semplicemente per allargare il fronte della Resistenza Editoriale, come la definite sul vostro sito?
Non siamo i soli a dirlo ed è sotto gli occhi di chi vuol vedere: il giornalismo in Italia vive una situazione paradossale e pericolosa, che spinge al conformismo, che non invita a rischiare, a prendere iniziativa, a mettere il becco nelle questioni più spinose. Ci sono delle eccezioni, naturalmente. A quelle guardiamo, a quelle soltanto cerchiamo di “rubare il mestiere”, di coglierne spirito e atteggiamento. Non è una questione di appartenenza politica, è una questione di onestà intellettuale e professionalità.
Quando si parla di voi e dei vostri autori è impossibile non pensare, ad esempio, ad Art Spiegelman. Peccato che in Italia non si legga quanto all’estero… Il fumetto, soprattutto se è fumetto impegnato, ha vita dura. Come fate i conti con questo?
Ancora una volta sono dati e cifre a imbarazzare: l’Italia è uno dei Paesi d’Europa che legge di meno. Ne prendiamo atto, ma cerchiamo con il nostro lavoro quotidiano di dare un piccolo contributo alla causa. Parlare di Pasolini o del disastro di Ustica a fumetti non è forse un tentativo di allargare il bacino dei lettori, specie fra i più giovani?
La vostra ultima creatura è “Ballata per Fabrizio De André”, di Sergio Algozzino. Quali sono le prossime iniziative?
Continueremo a confrontarci con la realtà, con i fatti e con la cronaca. Sia per quanto riaguarda i grandi casi di nera, con la ricostruzione del massacro del Circeo e la vicenda di Angelo Izzo, sia per quanto riguarda gli avvenimenti che oramai fanno parte della memoria collettiva del nostro paese, sia con le biografie dei personaggi che non vogliamo dimenticare.
Buon lavoro.